……è nata slow medicine……

Carissime/i

anzitutto welcome ai timidi che hanno iniziato a far sentire la loro voce.

Spero che altri stiano per far andare la propria tastiera…

Una brevissima nota per far sapere, a chi non lo sapesse, che è il 29 Giugno è stato battezzato a Ferrara il movimento “Slow Medicine”, che molti di coloro che hanno contributo sin qui a questo blog hanno almeno inconsciamente evocato e alla cui nascita alcuni hanno contribuito (che c’è batta un colpo!!!!).
Qui sotto trovate una breve descrizione che ho cut and pastato dall’Espresso di oramai due settimane fa.

Hugs

Alex

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Slow medicine: si guarisce di più

di Agnese Codignola e Daniela Minerva

In media un dottore lascia parlare il paziente 18 secondi poi lo interrompe. E inizia a usare il suo gergo tecnico, prima di congedarlo con una paccata di esami. Tutto sbagliato. E’ provato che si cura meglio se il malato può raccontarsi
(30 giugno 2011)
Diciotto (18) secondi. Tanto è il tempo che il medico lascia al paziente per raccontare la sua condizione prima di interromperlo, secondo una ricerca pubblicata dagli “Annals of Internal Medicine”. Diciotto secondi, poi inizia a fare domande, le sue domande che percorrono un ragionamento e gli permettono di arrivare a una conclusione scientificamente solida, è vero, ma che mai soddisfa la voglia di raccontarsi e capire del malato.
Fermiamo la scena su quei 18 secondi.

Da un lato il malato che arriva totalmente disorientato, magari col sospetto di una diagnosi molto seria: non importa quanti milioni di pagine abbia letto su Internet, quante interviste abbia sentito alla radio o in tv sulla sua malattia; gli saranno sembrate riferite a un signor X generico, a un mondo lontano di gente lontana, malati, insomma, non lui. Perché ciascuno di noi ha la presunzione di essere unico davanti al male: in un certo senso è vero, ma la medicina ragiona in un altro modo.

Così, mentre lui arriva alla visita medica con la testa piena di domande riferite alla sua personalissima condizione, il dottore lo riceve dopo aver visto, magari, una decina di persone coi medesimi sintomi e la medesima diagnosi; e mentre gli apre la porta sbircia la sala d’attesa piena all’inverosimile. Che sempre più lo sarà visto che, per tagliare i costi della sanità, entro un anno mancheranno in ospedale 30 mila medici e la metà dei precari, ovvero i giovani con contratti a termine che oggi mandano avanti molti reparti.

“Siamo assediati dai pazienti”, lamentano i camici bianchi: compresi i malati di cancro, quelli sopravvissuti a ictus e infarti, quelli affetti da gravissime patologie. Sono tantissimi. E molto spesso avviati al fine vita. “Il 50 per cento di noi segue personalmente oltre dieci malati terminali ogni mese”, racconta Carmelo Iacono, presidente dell’Aiom, l’associazione degli oncologi medici italiani. Quanti riescono a mantenersi sereni e disponibili al dialogo e quanti, invece, mordono il freno ogni giorno atterriti dall’angoscia di un maledetto mestiere?

E’ tutto qui il dilemma di quei 18 secondi. Da un lato una persona affranta e bisognosa di parole, dall’altro un professionista affannato che vede il suo tempo contingentato dall’azienda e, nei casi più drammatici, si rifugia nella razionalità addirittura sforzandosi di non affezionarsi al paziente.
Eppure, una soluzione a questa spaccatura che allontana ogni giorno di più i malati da chi ha il compito di curarli c’è. Magari anche partendo dalla considerazione economica che oggi tanto affligge le aziende sanitarie, perché meno si parla coi pazienti e meno si capisce della loro condizione clinica, più si ricorre a costose tecnologie diagnostiche che innescano, spesso, inutili e ancor più costosi circuiti di medicalizzazione.

Allora, perché non cambiare direzione? E provare a dare più tempo ai medici e meno soldi alle tecnologie. Questo chiede un movimento che nascerà ufficialmente il prossimo 29 giugno a Ferrara, con il significativo logo di Slow Medicine e si propone di combattere il modus dominante della medicina che spazza via il dialogo tra i malati e i dottori per sostituirlo con interventi medici spesso sproporzionati rispetto ai benefici, a volte potenzialmente rischiosi per la serenità del paziente e di non dimostrata efficacia per la salute. Ad animarlo sono, tra gli altri, Giorgio Bert, medico, tra i primi in Italia ad aver studiato e promosso la medicina narrativa (vedi box a pagina 130), e Silvana Quadrino, psicologa e pedagogista, fondatori dell’Istituto di counselling sistemico Change di Torino.

Slow medicine chiede alla medicina di tornare a essere sobria, rispettosa e giusta, e identifica sette veleni che la intossicano: l’idea che nuovo sia sempre meglio; la suggestione che ogni procedura proposta sia sempre sicura ed efficace; la convinzione che l’utilizzo di nuove tecnologie risolverà ogni problema; il sentimento comune secondo cui più si fa e meglio è, perché ciò aiuta a guarire e migliora la qualità della vita; il messaggio secondo il quale scoprire una malattia prima che dia sintomi (e quindi sottoporsi a molti esami e a check up) è sempre e comunque meglio; l’impostazione per la quale i potenziali fattori di rischio devono essere affrontati con farmaci.

“Tutte queste cose”, spiega Giorgio Bert, “nascono da una sorta di idea di onnipotenza della medicina, secondo cui tutto ciò che si può fare dal punto di vista tecnologico e farmacologico non può non portare un beneficio e deve quindi essere fatto. Tuttavia molti studi dimostrano che la realtà è ben più complessa, che esistono atti che non portano a nulla e altri che peggiorano le cose. Non solo, questa convinzione si basa su un’idea ancora più primitiva: che non esistano quasi più malattie incurabili. Ecco, per iniziare a modificare la mentalità di medici e pazienti e ricondurre salute e malattia a una dimensione più fisiologica, crediamo sia giunto il momento di introdurre il concetto di Slow Medicine”.

Lo scopo è quello di avviare un movimento culturale, spiega Quadrino: “Per coinvolgere il maggior numero possibile di medici e professionisti sanitari che agiscano con un approccio umano e non meramente tecnicistico”. Perché, ed è un fatto: secondo una ricerca condotta su 2.500 prestazioni sanitarie supportate da buone evidenze scientifiche, solo il 46 per cento è sicuramente utile, e il 4 per cento è dannoso. Analogamente, il “Journal of the American Medical Association” ha riportato uno studio in cui si dimostra che la maggior parte dei dispositivi medici nuovi approvati dalla Food and Drug Administration sono simili a quelli già in uso e sono stati introdotti soprattutto per motivi commerciali, senza dimostrazione diretta di efficacia clinica. Infine, il dato più inquietante, riportato sul “British Medical Journal” nel 2011: chi vive in zone dove si prescrive molto ha una vita media più breve rispetto a chi abita in zone dove si ragiona un po’ di più prima di indicare esami, procedure e farmaci.

“Studi come questi”, commenta Bert, “dimostrano che è giunto il momento di fermarsi e riflettere su che cosa sia davvero utile per il paziente e di spiegarlo anche a lui. Per fare questo, è necessario parlare con lui ricordando, per esempio, che la maggior parte delle malattie gravi può essere curata ma non guarita, che le protesi ogni tanto si rompono, che i farmaci non hanno solo effetti positivi, che molti interventi medici offrono benefici marginali o risultano inefficaci, che gli screening producono anche effetti dannosi; è inoltre necessario esplorare insieme a lui che cosa d’altro si può fare. Perché si può fare comunque tanto”.

Perché al cuore dell’approccio slow c’è il recupero della vera nota dolente della medicina contemporanea: la capacità di avere un vero dialogo con il paziente, atto che, se fatto seguendo una metodologia che ormai è ben nota e convalidata, porta indubbi vantaggi da tutti i punti di vista. Anche in questo caso, diversi studi lo hanno già dimostrato con i numeri. Tra i più recenti ce n’è uno alquanto provocatorio pubblicato su “Rheumatology”: la capacità di ascolto degli omeopati, com’è noto, è ciò che attira nei loro studi moltissime persone, e in effetti quando i ricercatori dell’Università di Southampton hanno chiesto a un’ottantina di malati di artrite reumatoide di prendere parte a sedute regolari con un omeopata per sei mesi, pur continuando ad assumere le terapie non omeopatiche, si sono accorti che i malati riportavano miglioramenti nei sintomi e nelle crisi misurabili con le scale convenzionali. Il dialogo e la possibilità di confrontarsi sul proprio disagio hanno avuto insomma un effetto terapeutico vero e, a differenza di quanto accade con i farmaci omeopatici, quantificabile.

Effetto placebo del sentirsi accuditi? No. E lo spiega Egidio Moja, direttore del centro Cura (Centro universitario sugli aspetti relativo-comunicazionali in medicina) dell’Università di Milano: “Non si pensi che il paziente vuole stare ore a parlare della sua malattia: studi dimostrano che una visita di più di mezz’ora non gli è gradita. Ma non c’è dubbio che se il medico capisce il punto di vista del suo malato, aumenta di molto la possibilità che lui faccia la cura nel modo giusto”. Dunque, non un tempo infinito, ma mirato, per permettere al medico di comprendere cosa passa nella testa del suo paziente, come vive, che motivazioni alla cura ha. In questo modo, aggiunge Moja, “posso inserire la terapia nella vita del malato, nelle sue credenze, nei suoi gusti, anche. Il che non vuol dire, come molti pensano, arrendersi, ma ascoltare per avere gli elementi per convincere e curare”.

10 commenti

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10 risposte a “……è nata slow medicine……

  1. christine m b kieran

    Caro
    see you’re back to normal again!
    As a ‘patient’ all I can say is that I know doctor’s don’t have a lot of time to sit and chat to their patients, they have more imprtant things to do…………but it just might help the situation if they came down off their high horses and spoke a more simple language – one that can be understood by everybody. After all they are only human too and can be in a bad mood – they are NOT God Almighty and let’s bring back lessons in bed-side manners again and for your nurses on how to be kind and loving…..Please…. We all know how we got better when we were children, with a kiss and cuddle from Mum and she didn’t have umpteenth degrees in medicine!!
    As to Inter- who is your new manager???? See you in Europe with 2 teams from Manchester this year!!
    kisses and cuddles
    Chris

  2. max

    ciao
    x chi fosse interessato
    http://decrescitafelice.it/content/la-decrescita-medicina
    fra l’altro noi del toro è qualche anno che l’applichiamo nel calcio…
    max

  3. paola dg

    ciao, contenta di sentire che tutto procede bene.
    Frena l’entusiasmo per la slow-medicine (almeno per ora). Bella l’idea, interessante il dibattico che potrebbe sviluppare. Fino’ora ho sentito dichiarazioni di principio (sarebbe utile prendere un’area per lavorare concretamente su cosa è effettivametne possibile fare e come), molto deja vu (mi sono sentita vecchia a Ferrara). Prendo a prestito la battuta di Domenighetti (old wine in new bottle).
    Non voglio fare la solita disfattista, ma aspetto di vedere come si va avanti. L’importante è che non si concentri/limiti tutto alla medicina narrativa, che ho sentito aleggiare un pò troppo nella riunione.
    Ti stai godendo un bel pomeriggio di sole a FdM o sei ancora a BO?
    ciao anche a mariangela
    paola

    • Paola
      concordo che gli entusiasmi devono essere misurati.
      Infatti la mia era soprattutto una segnalazione e mi aveva colpito la “coincidenza casuale” con la discussione che era nata sul blog proprio sul termine slow medicine.
      eraltro viviamo in tempi nei quali anche solo mantenere vivo un dibattito su questioni molto di principio e cariche di implicazioni pratiche ha di per se un valore.
      Per ora mi godo il calduccio di Bologna, a parte una pausa week-endina nelle terme toscane e spero di fare un salto presto a FdM.
      A vederci next week per la study session
      Un abbraccio
      Ale

  4. elisa s.

    Accipicchia come è impegnativo questo blog! Gradisco molto questo argomento slow & fast mentre, mi perdonerete, mi appassionano poco le vicende inter (forse perchè non saprei cosa dire). condivido integralmente il commento di sara e suggerisco di aggiungere un’altra dicotomia: ascoltare & sentire.
    ascoltando, senza pregiudizi, si possono raccogliere molte informazioni e se a questo si aggiunge la capacità di essere empatici, beh allora credo che si possa anche riuscire a capire, a ridurre la probabilità di interpretazioni sbagliate e ad aumentare le possibilità di curare bene.
    elisa

  5. Fiorenzo

    Riprendo al volo un tema del post precedente di Alessandro (ma sotto c’è anche un commento a questo post…): “la questione degli strumenti collettivi che sono necessari per essere piu incisivi”, per una (istruttiva) segnalazione che riguarda quello sembra essere oggi lo strumento principe per agire e incidere IN MANIERA SPONTANEA, la rete:
    http://temi.repubblica.it/micromega-online/grillo-e-il-suo-spin-doctor-la-casaleggio-associati/

    Oh, e per quanto riguarda lo SCUDETTO 2006, da Repubblica online:
    “Resta ancora in ballo la questione dello scudetto 2006 assegnato all’Inter a tavolino: deciderà il Consiglio federale”
    e poi:
    “La procura federale della Federcalcio ha disposto l’archiviazione del procedimento relativo ai fatti del 2006 nei confronti dell’Inter, “esaminati gli atti dell’indagine inerente alle trascrizioni delle conversazioni telefoniche depositate presso il tribunale di Napoli nel processo penale in corso di svolgimento relativo a Calciopoli ed espletata la conseguente attività istruttoria in sede disciplinare, non essendo emerse dalle risultanze istruttorie e dai contatti telefonici in atti fattispecie di rilievo disciplinare procedibili, non coperte da giudicato ovvero NON PRESCRITTE ai sensi dell’art. 18 del codice di giustizia sportiva vigente all’EPOCA DEI FATTI”

    Non ricorda certe altre assoluzioni italiane? 😉

    fiorenzo

  6. MAO

    Ciao Ale,

    Scudetto 2006 confermato all’Inter: LA STAMPA.it la da come notizia proncipale! Slow o fast?

    A proposito si slow e fast: quando tu e Ross mi avete portato “celermente” al Maggiore per una “tempestiva” TAC e una “veloce” somministrazione di terapia fibrinolitica che mi ha restituito la possibilità di pensare “specchio” e dire “specchio”, invece di pensare “specchio” e dire “mirror”…. che tipo di medicina era?
    A presto, MAO

    • caro Mao

      sullo scudetto sono in silenzio stampa anche perche tutto il dibattito mi pare piuttosto penoso, e temo che una volta di più il nostro Presidente abbia perso una occasione per mostrare la diversità interista (?!?).

      Quanto al tuo quesito e stata certo “fast”, per ceri versi molto fast visto che la indicazione alla trombolisi non era proprio ineccepibile. Cio detto fast doveva essere la diagnosi ed il referral e fast sono stati. Il resto mettiamolo nel conto degli “effetti difficili da misurare” e quindi di quelli in cui ci puo stare la preferenza per il fast o per lo slow, a discrezione del paziente – o di chi per lui in quel momento si fa carico della decisione

      a presto

      ale

  7. cristina L

    …avrei tanto da dire a riguardo…visto che io, con i miei 356 pazienti….come minimo sforo di un’ora (quando va bene…)l’orario di ambulatorio…., ed ho fatto tanti sacrifici (in primis lasciare Milano per inseguire il sogno di avere il Mio ambulatorio…e non continuare a fare il sostituto in eterno….) per un rapporto continuativo con i miei pazienti….!!ed avere anche la soddisfazione di tornare a casa con fagiolini, zucchini e mozzarelle da chi evidentemente apprezza quello che faccio per loro….!!
    conta molto più il dialogo, la comunicazione…. dell’imposizione dei certificati on -line….!!!

  8. sara

    Sarò presuntuosa ma mi vien da dire ; MA GUARDA UN PO’!!
    Ci sono anche studi che dimostrano a proposito di medicina difensiva, che laddove è migliore (EMPATICO) il rappoto medico-paziente, si rileva il 30% in meno di denunce per errore medico.
    s

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